Anoressia: quando il disagio si esprime attraverso lo sciopero della fame
Anoressia: quando il disagio si esprime attraverso lo sciopero della fame
Psicologa Psicoterapeuta Padova – dott.ssa Sara Lindaver
L’anoressia è uno dei disturbi psicologici che si rende più evidente allo sguardo degli altri.
Dal punto di vista diagnostico per anoressia si intende una severa perdita di peso, con un BMI (indice di massa corporea che si calcola dividendo il proprio peso, espresso in chilogrammi, per il quadrato della propria altezza, espressa in metri) inferiore a 17, associata ad una forte preoccupazione per il proprio peso e per il proprio aspetto fisico.
Spesso, nella vita di tutti i giorni capita di additare persone come “malate di anoressia” per la loro particolare magrezza e non di rado si è portati a pensare che l’anoressia sia associata ad una certa dose di superficialità e/o frivolezza poiché si ritiene “stupida” la scelta di dimagrire, con l’idea che questo venga fatto solamente per seguire i dettami della moda che privilegiano figure femminile particolarmente snelle.
L’anoressia, come gli altri disturbi psicologici, in realtà non è che un modo in cui la persona comunica il proprio malessere: non si piace, si vede inadeguata e non all’altezza degli altri e cerca di avere un controllo su queste sensazioni negative controllando la propria alimentazione e spesso ricercando il perfezionismo in altri ambiti, come il lavoro o lo studio.
Molto spesso l’anoressia non viene percepita dalla persona come un disturbo. Per quest’ultima infatti la scelta di non mangiare è un modo per cercare di emergere come vincenti dal confronto con gli altri.
La persona in genere diviene consapevole del proprio disturbo solo quando cominciano a manifestarsi problemi più strettamente fisici, come un’eccessiva faticabilità, alterazioni del ciclo mestruale e/o amenorrea, frequenti mancamenti…
In altri casi mi capita, invece, di accogliere pazienti che si presentano dicendo: “Sono venuta qui perché i miei genitori mi vedono come malata di anoressia, ma io non lo sono assolutamente. Ho solo ridotto le dosi del cibo che mangio e non riesco a capire come mai mi vedano così. Vengo qui solo per capire come mai la mia immagine di me sia così diversa da quella che loro hanno di me, ma so di non essere malata di anoressia”.
L’etichetta “malato/a di anoressia” sta spesso stretta e non mi piace usarla nei colloqui con i miei pazienti. Definire una persona “semplicemente” come “malata di anoressia”, a mio avviso mette in secondo piano il fatto che la scelta di non mangiare sia una forma di espressione di un malessere della persona ben più profondo. Scegliere di non mangiare nonostante i crampi della fame richiede una grande determinazione: è una sfida continua della propria mente che resiste contro il proprio corpo.
Preferisco parlare di “sciopero della fame”: lo sciopero è una forma di protesta e quando si protesta lo si fa sempre contro qualcuno o qualcosa. Nelle situazioni di anoressia questa protesta viene spesso a realizzarsi contro un profondo senso di impotenza e disvalore, percepito soprattutto in ambito familiare. Spesso si tratta, infatti, di un’opposizione alla famiglia ma allo stesso tempo di un’intensificazione del rapporto con essa: nelle famiglie con un familiare che presenta un comportamento anoressico generalmente le conversazioni di tutti i membri della famiglia vanno a vertere sul tema del cibo e sulla preoccupazione per la salute fisica di quest’ultimo, nonostante chi presenta il sintomo si opponga in tutti i modi all’imposizione di mangiare.
Di solito si vedono schierate due fazioni:
- la fazione del familiari: “Cerchiamo in tutti i modi di farla mangiare e di controllarla ma non sappiamo più cosa fare”;
- la persona in sciopero: “Mangio quello che voglio e quando voglio. Se voglio non mangiare lo faccio”.
L’obiettivo di un percorso psicoterapeutico è quello di mettere in luce gli altri temi di confronto/scontro che hanno portato la persona a raggiungere un livello di malessere tale che per essere visto e colto degli altri ha avuto la necessità di manifestarsi con un sintomo importante e pericoloso dal punto di vista fisico, quale la scelta di non mangiare.
Negli incontri con lo psicoterapeuta non si va alla ricerca di colpe, ma si cerca di trovare delle modalità comunicative differenti che permettano di andare alle origini di questo disagio ed evidenzino come l’anoressia non sia un problema della persona che non mangia, quanto piuttosto una situazione che vede coinvolta tanto la persona in sciopero della fame, quanto i familiari e le persone per lei significative che le stanno intorno.
Psicologa Psicoterapeuta Padova
Studio di Psicologia e Psicoterapie a Padova
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