Raccontare le origini nella fecondazione eterologa
Fra i tanti pensieri che interessano la coppia che sta valutando se intraprendere o meno un percorso di fecondazione eterologa o che ha questa ricerca già in essere c’è spesso la questione relativa al racconto sulle origini della gravidanza.
In Italia non esiste una normativa di riferimento e delle specifiche linee guida e, mancando spesso anche un adeguato sostegno psicologico, le coppie si trovano sole anche di fronte a questo importante dilemma.
L’approdare alla fecondazione eterologa è di certo una scelta di serie C per tutte le coppie che scelgono di affrontare questo percorso per provare a diventare genitori. Nessuno infatti vorrebbe come prima scelta diventare mamma o papà per mezzo di un intervento medicalizzato, come lo è la PMA in generale che potremmo definire scelta di serie B, né tanto meno vorrebbe sentirsi dire, sapere o scoprire che il proprio corpo non ha biologicamente le potenzialità per diventare genitore.
Le coppie che giungono alla fecondazione eterologa sono quindi fatte di persone che hanno un passato di dolore e di fatica, che si sono insediate in quel ambito di ricerca di un figlio laddove tutto dovrebbe essere quasi solo un piacere.
La presenza di un donatore, di una donatrice o di entrambi contemporaneamente è un ulteriore elemento che la coppia si trova a dover accettare ed elaborare per sperare di poter diventare mamma e papà.
Spesso è difficile prendere questa decisione, soprattutto nelle situazioni in cui non c’è una sterilità conclamata ma alla coppia vengono lasciate alcune, benché remote, possibilità di un concepimento naturale o tramite PMA omologa. In questi casi è come se alla coppia venisse lasciata la responsabilità di decretare una fine alle loro possibilità di riprodursi trasmettendo la propria genetica.
Son passaggi delicati in cui la coppia deve prendersi il giusto tempo per elaborare i propri vissuti per non incorrere in due estremi che possono minare la serenità individuale, di coppia e del/della nascituro/a. Da un lato, infatti, può capitare di sentirsi “inferiori”, “inutili”, “non adeguati” nei confronti della gravidanza e più in generale della genitorialità perché non ci si sente la “vera mamma” e/o il “vero papà” ma si attribuisce questo ruolo alla donatrice e/o al donatore. Dall’altro lato può succedere di voler non pensare in alcun modo a come è avvenuto il concepimento, che diviene una sorta di tabù non solo con il mondo esterno ma spesso anche all’interno della coppia e con sé stessi, una sorta di pensiero a cui non si può pensare.
Se all’interno della coppia in uno o in entrambi i partner è presente questo approccio alla fecondazione eterologa è difficile poter pensare ad un racconto delle origini: da un lato perché porterebbe a squalificare in massimo grado il proprio ruolo di mamma e di papà, dall’altro lato perché significherebbe addentrarsi in un mondo da tenere segreto.
Quale può essere dunque un approccio che garantisce una maggior serenità?
In primo luogo è importante che la coppia abbia adeguatamente elaborato il lutto per il proprio bambino o la propria bambina immaginato/a come portatrice del proprio corredo genetico e quindi di somiglianze anche estetiche su cui rispecchiarsi.
In secondo luogo è utile tenere a mente che il concepimento rientra fra le questioni intime afferenti alla propria sfera privata. Raramente, infatti, noi sappiamo come e quando siamo stati concepiti.
Da un lato vi è il diritto del proprio figlio o della propria figlia di conoscere le proprie origini, dall’altro lato vi è anche il diritto della coppia di mantenere rispettata la propria intimità.
Non si tratta quindi di appendere uno striscione sul muro di casa con scritto “qui è nato un bimbo concepito con la fecondazione eterologa”, né tanto meno di appiccicare una coccarda sul proprio bambino per differenziarlo dagli altri. Si tratta di comunicare una storia privata, che i genitori hanno il diritto di comunicare solo a chi desiderano e che il bambino ha il diritto di conoscere.
I segreti sono pesanti da mantenere e nonostante i nostri sforzi nulla impedisce che una verità travolgente possa venire a galla in un futuro più o meno lontano, a maggior ragione con gli imprevedibili progressi della scienza. Rivelazioni scoperte in maniera inaspettata possono avere una valenza traumatica nella propria storia e nella costruzione della propria identità.
Un esempio viene dalle linee di riferimento per l’adozione. Sebbene per i bambini adottati alla nascita potrebbe verosimilmente sembrare più semplice l’evitamento del racconto sulle loro origini e sul loro abbandono, la normativa prevede che i servizi sociali monitorino affinché tutti i bambini abbiano un’adeguata comprensione della loro storia adottiva, entro i sei anni di età e compatibilmente con le loro competenze cognitive.
Anche nell’ambito della fecondazione eterologa le ricerche dimostrano che un racconto relativo alle proprie origini, compatibile con le capacità di comprensione del bambino, è utile che venga trasmesso al bambino fin dalla tenerissima età. Questo può permettergli di vivere la propria storia come assolutamente “normale” pur con un inizio diverso da quella che è la norma biologica.
Un racconto di questo tipo è però possibile solo se anche i genitori possono vivere questa loro travagliata storia come “diversa ma normale”.
I genitori possono scegliere di trarre spunto da cartoni animati, libri, animali o quant’altro per rendere la storia comprensibile ed interessante.
Non può esistere una storia unica che vada bene per tutte le famiglie ma questo racconto deve poter includere una mamma, un papà ed un donatore e/o una donatrice che hanno aiutato questa mamma e questo papà che tanto desideravano diventare genitori ma che senza quel “semino” o quel “ovetto” non sarebbero potuti diventare tali e stringere fra le braccia il loro figlio.
Al momento sono stati anche pubblicati alcuni libri per bambini nati con fecondazione eterologa che possono essere un utile punto di partenza e spunto per raccontare la propria storia.
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Dott.ssa Sara Lindaver Psicologa Psicoterapeuta
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